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Lunedì 17 novembre 2014

Quello che metti nella vita degli altri

tornerà a riempire la tua.

Lettura del profeta Geremia (1, 4-10)

In quei giorni. Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni».

Risposi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane».

Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”.

Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò.

Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore.

Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse:

«Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare».

Ieri è iniziato – per la nostra Diocesi Ambrosiana – il tempo liturgico dell’Avvento.

Nei giorni feriali seguiremo quest’anno la lettura del libro del profeta Geremia. Sarà una lettura continua e progressiva, ma non integrale del testo di questo grande profeta che, insieme a Isaia, Ezechiele e Daniele, fa parte dei cosiddetti ‘profeti maggiori’.

La liturgia non ci fa leggere i versetti iniziali del primo capitolo, che permettono di collocare storicamente il ministero profetico di Geremia: “A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, l’anno tredicesimo del suo regno, e successivamente anche al tempo di Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell’anno undicesimo di Sedecìa, figlio di Giosia, re di Giuda, cioè fino alla deportazione di Gerusalemme, avvenuta nel quinto mese di quell’anno”. (Ger 1, 2-3)

L’opera di Geremia si snoda dunque per ben quarant’anni, dalla vocazione avvenuta nel 626 a.C. (nel vivo della riforma religiosa voluta dal re Giosia), fino al tragico momento della caduta di Gerusalemme nel 586 a.C.

Mi piace mettere in evidenza il ‘grido’ di Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Penso che sia il ‘grido’ di tutti, quando avvertiamo le esigenze della chiamata del Signore, quando ci rendiamo conto delle nostre responsabilità nel trasmettere la fede, quando sperimentiamo quanto costa essere testimoni credibili del vangelo!

Signore, già faccio fatica a vivere io stesso il vangelo, già mi sento immensamente inadeguato nel rispondere alla tua Parola! Come posso essere annunciatore, testimone, missionario per altri?!

Mi rincuora – e faccio mia – la bella parola dell’apostolo Paolo (2 Cor 12, 9): “Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza»”.

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Sabato 15 novembre 2014

Non lasciare che il passato dica chi sei,

ma lascia che sia parte di ciò che diventerai…

Lettura del Vangelo secondo Marco (13, 5a. 33-37)

In quel tempo. Il Signore Gesù si mise a dire ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

La liturgia del sabato ambrosiano ha un carattere “pre-festivo” ed anche se il ritmo del nuovo avvento non è più scandito dall’alternarsi futuro, passato e presente, il brano del vangelo di oggi già orienta il fedele ad essere attento e vigilante nell’attesa di quella ‘venuta’ di quel Signore “che sta sempre alla porta e bussa”.

Certo, la nostra epoca, con i suoi ritmi frenetici e con l’affievolirsi della visione religiosa del mondo, ci sta progressivamente portando a rendere irrilevante il tema della venuta del Signore e del nostro incontro con lui.

La vita non è più letta come ‘vocazione’; questo orizzonte terreno sembra il solo che possa dare felicità ai nostri cuori inquieti; la speranza per la vita eterna è relegata ad una favola troppo bella per essere vera; il tema – forte e severo – del giudizio si è stemperato fino quasi a scomparire…

È allora più che mai urgente raccogliere l’invito di Gesù: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento».

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Venerdì 14 novembre 2014

Trova il tempo di donare:

la ‘giornata’ è troppo corta per essere egoisti.

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (22, 6-13)

In quel giorno. Colui che parlava mi disse: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve. Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro».

Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. E quando le ebbi udite e viste, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le mostrava. Ma egli mi disse: «Guàrdati bene dal farlo! Io sono servo, con te e con i tuoi fratelli, i profeti, e con coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare».

Con queste poche righe tratte dalla parte centrale dell’ultimo capitolo dell’Apocalisse si conclude la lettura liturgica di questo affascinante testo, l’ultimo della Scrittura.

“Queste parole sono certe e vere”: è un’ultima esortazione a prendere sul serio la Parola che ci è stata rivelata nel corso di queste settimane. La nostra beatitudine, la nostra ‘fortuna’ è quella di custodire nel cuore questa parola e di farla fruttificare.

“È Dio che devi adorare”: sul palcoscenico della storia abbiamo assistito allo scontro fra il Dio della vita e la multiforme e tentacolare potenza del male, con tutta la sua forza seduttrice ed ingannatrice.

L’ultima parola – incisa con stilo di ferro sul piombo – non può che essere la ripresa del primo fondamentale comandamento, la parola che fonda l’Alleanza fra Dio ed il suo popolo: “Non avrai altro Dio all’infuori di me!”. «È Dio che devi adorare».

Ci sia data la capacità dell’interpretazione del senso profondo, cioè teologico ed escatologico, della storia umana, così da scorgere la meta verso cui la storia è diretta e che deve essere svelata sotto la superficie apparentemente insensata e disgregata delle vicende umane.

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Giovedì 13 novembre 2014

Ho cercato la mia anima, ma la mia anima
non l’ho potuta vedere.
Ho cercato il mio Dio, ma il mio Dio
non son riuscito ad afferrarlo.
Ho cercato il mio fratello, e ho trovato tutti e tre.

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (22, 1–5)

In quel giorno. Colui che parlava mi mostrò un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione.

Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello: i suoi servi lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli.

Come si dice, protologia ed escatolgia si uniscono; un fiume che poi si divide in quattro fiumi e un albero della vita nel paradiso terrestre di Genesi 2 e un fiume d’acqua viva e un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno in questa stupendo affresco disegnato dall’Apocalisse.

E se là, all’inizio, la parola ‘maledizione’ veniva a colpire e gravare sulla storia, qui ogni maledizione è tolta per sempre.

E se là, nell’Eden, dopo il peccato uomo e donna si nascondevano dalla presenza del Signore, qui si è ristabilita la piena comunione fra Dio e l’uomo, sua immagine vivente: “I suoi servi lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte”.

A proposito di questo “albero della vita” dice molto bene il card. Ravasi: “È suggestivo che la Bibbia inizi e si concluda con questo segno del nostro destino di gloria che possiamo perdere ma che è sempre disponibile a chi segue le vie di Dio”.

Facciamo nostre le belle parole del Salmo: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”.

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Mercoledì 12 novembre 2014

La parola giusta è quella pronunciata con amore.

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (21, 15-27)

In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio.

La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.

Le nazioni cammineranno alla sua luce, e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, perché non vi sarà più notte.

E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni.

Non entrerà in essa nulla d’impuro, né chi commette orrori o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello.

Il suo tempio è l’Agnello… la sua lampada è l’Agnello… il libro della vita dell’Agnello!!!

Nel mondo nuovo, trasfigurato, tutto è ormai centrato sull’Agnello, Gesù Cristo morto e risorto; tutto avverrà – finalmente e realmente – “per Cristo, con Cristo e in Cristo”! (come diciamo in ogni Eucaristia).

Realmente Gesù Cristo si rivelerà come l’unico universale salvatore e Signore della storia; in lui e per lui entreremo con verità in quel giorno che non conosce sera; Gesù, la luce del mondo, riempirà di sé tutte le cose.

Questa nuova città-umanità è in piena e totale comunione con Dio, una comunione diretta, trasparente senza più veli o mediazioni. “In essa non vidi alcun tempio”!

Dio non è più incontrato attraverso qualcosa, ma faccia a faccia, e questo è il grande sogno dell’uomo, l’ansia profonda di ogni sua ricerca.

Alla domanda espressa dal Salmo: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?”, rispondono le parole della fede: “Allora invece vedremo faccia a faccia, perché lo vedremo così come egli è”!!!

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Martedì 11 novembre 2014

Ti chiedo un po’ di acqua semplice, con le sue proprietà,

che non dipendono da te,

e con la gioia del dare, che invece è tua.

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (21, 9-14)

In quel giorno. Venne uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.

Caduta Babilonia, rinchiuse nello stagno di fuoco tutte le forze diaboliche ostili al progetto di Dio, ecco rivelarsi il mondo nuovo: una città santa, Gerusalemme, discendere dal ‘cielo’, cioè proveniente in tutto da Dio, sua opera e suo dono.

Nasce per opera di Dio una nuova comunità-sposa, riverbero della stessa gloria di Dio, nella gioia di ritrovarsi con il suo Sposo, l’Agnello, Gesù Cristo.

La prima nota dominante è la luce, come città collocata sopra il monte, visibile agli occhi di tutti, punto di riferimento e immagine del suo Signore.

Più avanti l’Apocalisse ci rivelerà anche le dimensioni ‘simboliche’ di questa città; per ora si annuncia, sempre attraverso il simbolismo, che la nuova umanità è protetta e custodita (alto muro) ed insieme aperta ed accogliente (le porte).

Una città-comunità con delle radici precise: i dodici apostoli ed una storia millenaria (gli angeli protettivi che richiamano le dodici tribù di Israele).

Più volte, in questi decenni, sono state tante le voci che hanno aiutato la Chiesa a riscoprire le proprie radici ebraiche (san Giovanni Paolo II ha parlato degli Ebrei come dei “nostri fratelli maggiori”); ed insieme la Chiesa ha come sue nota caratteristica quella di essere “apostolica”: fondata da Gesù sulla vita di una comunità di fede e di amore che a partire dai Dodici, continuerà lungo i secoli.

Preghiamo perché la Chiesa risplenda “tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (san Paolo agli Efesini).

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Lunedì 10 novembre 2014

Che nessuno venga mai da voi

senza andarsene più buono e più felice!

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (20, 1-10)

In quel giorno. Vidi un angelo che scendeva dal cielo con in mano la chiave dell’Abisso e una grande catena. Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’Abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po’ di tempo.

Siamo giunti all’ultima settimana feriale dell’anno liturgico ed alle ultimissime battute del libro dell’Apocalisse che ci ha accompagnato in queste settimane.

Isolo dal lungo brano di oggi solo la parte iniziale, per accennare alla famosa e dibattutissima questione dei “mille anni”. Scartiamo subito un’interpretazione ‘letterale’, anche se è stata in auge nel passato e spesso ritorna nell’immaginario collettivo anche moderno (ricorderete le catastrofiche previsioni, un po’ in tutti i settori, all’arrivo dell’anno 2000!!!). La tesi di mille anni di regno del Messia prima della fine della storia era già stata condannata dal Concilio di Efeso del 431!!!, ma spesso è tornata a farsi sentire in ‘sette’ di stampo apocalittico.

Oggi si propende per vedere in questi ‘mille anni’ il tempo della Chiesa, che va dalla Pasqua di Gesù alla pienezza finale nella ricapitolazione di tutte le cose in Cristo, Signore dell’universo.

Ritorna l’invito dell’Apocalisse per i credenti di ogni tempo a non essere ingenui e superficiali: il male è forte e sarà sempre presente nella vita dei singoli e della comunità.

Ma anche invito a non disperare e a non rassegnarsi perché la grande chiave dell’abisso – cioè il potere ultimo e definitivo sul male – è in mano al Signore Gesù, l’alfa e l’omega, il principio e la fine di tutte le cose.

Come abbiamo celebrato ieri, veramente Gesù Cristo è il re e il Signore dell’universo, ricapitolatore di tutte le cose!

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Sabato 8 novembre 2014

Il portare vale più dell’arrivare.

Chi ama arriva sempre!

Lettura del Vangelo secondo Matteo (11, 25-27)

In quel tempo il Signore Gesù disse: « Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Fra i tantissimi brani della Scrittura che amo particolarmente, questo è tra i primi!

Fra tutti i modi con cui poteva pregare il Padre, Gesù ha anzitutto scelto un inno di lode e di benedizione. Anche in questo egli si è rivelato il Signore della gratuità e dell’amore, perché lodare e benedire è proprio di chi ha il cuore grande, generoso, riconoscente.

Fra i tanti motivi della sua preghiera, Gesù ha scelto di interessarsi anzitutto dei piccoli. Tutta la sua vita è stata una continua presa in carico dei problemi degli ‘ultimi’, perché anche a loro – soprattutto a loro – fosse annunciato che non solo non erano lontani dal cuore di Dio, ma per essi era tutto il suo amore e la sua predilezione.

Donaci, Signore, di rinunciare almeno un po’ alla nostra ‘sapienza’, per lasciarci educare da te, che sei mite e umile di cuore. Solo così troveremo ristoro per la nostra vita. Il tuo giogo infatti è dolce e il tuo peso leggero.

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Venerdì 7 novembre 2014

 “Prendi la speranza e vivi alla sua luce”

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (19, 17-20)

In quel giorno. Vidi un angelo, in piedi di fronte al sole, nell’alto del cielo, e gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano: «Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei comandanti, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi».

Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti, radunati per muovere guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta, che alla sua presenza aveva operato i prodigi con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo.

Purtroppo (questa osservazione va fatta spesso) la liturgia ‘ritaglia’ alcuni brani staccandoli dal loro contesto, così diventa difficile coglierne il messaggio (anzi, il rischio è precisamente quello di fraintenderli).

Il contesto, dunque, è quello di un’ultima radicale lotta fra Bene e Male. Da una parte un Cavaliere sul cavallo bianco, Gesù Cristo, e d’altra la Bestia con i re della terra e le loro armate.

Il brano odierno riporta, con un linguaggio fortemente simbolico, la vittoria (rappresentata da un banchetto) delle forze positive (il Cavaliere celeste), contro tutti i malvagi seguaci della Bestia.

L’estrema lotta non viene descritta, ma solo evocata dall’esito finale: ogni realtà negativa, malvagia, seduttrice e ingannatrice (come il falso profeta) conoscono un annientamento radicale e definitivo: lo “stagno di fuoco, ardente di zolfo”, immagine classica per esprimere l’inferno.

Chiediamo al Signore il dono della ‘sapienza’ per saper leggere la storia con i suoi occhi ed essere in grado di smascherare tutte le ‘forze’ che cercano di ‘sedurci’ per farci adorare non il Dio vivo e vero, ma la Bestia e il suo esercito.

Fino alla fine della storia non potremo non ripetere l’invocazione che Gesù ha consegnato ai suoi discepoli, perché la implorino dal Padre: Liberaci dal male!

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Giovedì 6 novembre 2014

Quando il chiasso del nostro disperato agitarci si acquieta,

solo allora si fa sentire la voce del Cielo.

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (18, 21 – 19, 5)

In quel giorno. Un angelo possente prese una pietra, grande come una màcina, e la gettò nel mare esclamando:

«Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città, e nessuno più la troverà.

Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te;

ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te;

il rumore della màcina non si udrà più in te;

la luce della lampada non brillerà più in te;

la voce dello sposo e della sposa non si udrà più in te.

Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra

e tutte le nazioni dalle tue droghe furono sedotte.

In essa fu trovato il sangue di profeti e di santi

e di quanti furono uccisi sulla terra».

Dopo questo, udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva:

«Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi. Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!».

E per la seconda volta dissero: «Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!».

Allora i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: «Amen, alleluia».

Dal trono venne una voce che diceva:

«Lodate il nostro Dio, voi tutti, suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!».

L’Apocalisse non ci racconta lo svolgersi della caduta di Babilonia, ma solo la eco che rimbomba quasi incessante in tutto il mondo. Ecco allora il ripetersi lacerante di un ritornello – tragico e categorico: “non è più, non è più…”! Tutto ciò che costituiva il suo vanto ed il suo orgoglio finisce miseramente nel vuoto e su tutto cala un silenzio ‘assordante’!.

All’opposto nel cielo (cioè la realtà guardata con gli occhi di Dio) ecco il canto della vittoria: Amen! Alleluia!.

Mentre qui si canta per l’attuarsi del progetto di Dio, su tutto ciò che è miseramente crollato un fumo sale nei secoli dei secoli (è cioè irrevocabile e definitivo).

Il Signore ci aiuti a non lasciarci ‘ingannare’ dalla forza seduttrice di chi si presenta come l’autore di ogni felicità!

Come Gesù stesso ci ha insegnato, ogni giorno diciamo “non abbandonarci nella tentazione” (è la nuova traduzione del Padre nostro, che speriamo sia presto assunta anche dalla liturgia!), perché l’ora della prova, della seduzione e dell’inganno è sempre pronta a rapire il nostro cuore.

Anche noi, con tutta la liturgia del Cielo diciamo: Lodiamo il nostro Dio, noi tutti, suoi servi, noi che lo temiamo e amiamo, piccoli e grandi!

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